La crescita di un sentimento ecofriendly e il desiderio sempre più diffuso di abbattere, anche con piccoli gesti, il proprio impatto ambientale, hanno portato molte persone a vivere il mare in maniera responsabile e a cercare realtà che potessero rispettare quei canoni che gli amanti del sentimento ecologico hanno fatto propri. A rendersi conto di questa esigenza è stato Domenico Marchetti che ha scelto di costituire Ecospiagge, un’associazione che senza imporre parametri e vincoli, si propone di fornire indicazioni per una condotta virtuosa e realmente ecofriendly. Temi come il fotovoltaico, il recupero delle acque, il risparmio delle risorse e un turismo sostenibile, ad esempio incentivando i turisti all’uso dei mezzi pubblici per gli spostamenti, sono solo alcuni dei punti sviluppati da questa realtà che cerca di fare scuola guardando al presente e al futuro, spiegando alla comunità balneare come il rispetto dell’ambiente e una gestione illuminata non siano solo un modello di business, ma anche un modo per risparmiare sia in termini economici che di tempo, senza stravolgere un ecosistema che si è andato formando nei decenni e che oggi è a rischio per lo sfruttamento indiscriminato. Anche in questo caso il progetto appare facilmente replicabile e in effetti non mancano i casi positivi, ma è lo stesso ideatore di Ecospiagge ad esprimere qualche perplessità in merito. “Nonostante non vi siano imposizioni o richieste economiche – spiega Domenico Marchetti – è ancora molto difficile osservare una diffusione di certe idee. Vi è molta disparità, sia a livello territoriale che gestionale. Sicuramente l’attrattiva di un risparmio economico derivante dall’adozione di modelli virtuosi è molto interessante per i gestori degli stabilimenti balneari, ma quando si parla di investimenti o di parametri da rispettare la reazione è differente. Non credo che il franchising abbia la possibilità di attecchire in maniera netta e decisa, poiché l’individualismo dei singoli operatori e il desiderio di avere la massima libertà di manovra spesso impediscono la creazione di regole precise. Noi abbiamo scelto questo tipo di modello convinti che attraverso il dialogo, l’esempio e il confronto ci possa essere una certa capacità di penetrazione. Chiaramente ci si rivolge a una platea sensibile ed è pertanto più facile riuscire ad intendersi, ma chiaramente il fatto di non imporre determinati vincoli e parametri ha il suo peso, perché sarebbe sicuramente un qualcosa di poco accettato, se non addirittura rifiutato.” È evidente che, rispetto a un franchising propriamente detto, dove la replicabilità del modello deve di fatto essere totale, dando vita a realtà assolutamente identiche sia sotto il profilo strutturale che gestionale, queste soluzioni rappresentano una formula molto diversa. Eppure già questo tipo di esperienza ha dimostrato come la principale difficoltà risieda proprio nell’aspirazione di ciascun bagno di avere carta bianca sulla propria concessione e di non accettare di buon grado le eventuali ingerenze di altri, nonostante siano gli stessi ideatori dei modelli di riferimento a cui si è scelto di ispirarsi.